CHI SIAMO

CHI SIAMO, DA DOVE VENIAMO, DOVE ANDIAMO…

(Breve storia del Circolo Culturale Monte Sacro)

 

 

La storia degli individui quando viene raccontata non fornisce mai una versione univoca degli eventi; anzi le stesse vicende a cui si partecipa, a distanza di tempo, sono riferite dalle stesse persone che le hanno vissute in modo assai difforme.

A sostegno di questa affermazione basta ricordare l’ansia “revisionistica” di tante riletture storiche propalate, in un triste cupio dissolvi, proprio dagli stessi protagonisti a cui quelle scelte costarono prezzi spesso drammatici.

Ma oltre a quella degli individui c’è anche una storia dei luoghi così, nel momento in cui si vuole “raccontare” una esperienza, è meglio rifarsi alla storia di quelli e delle comunità che l’abitarono, per passare dai ricordi alla memoria e, soprattutto, acquisire un distacco emotivo indispensabile quando si racconta di “se”.

La nostra sede, la sede del Circolo Culturale Montesacro, è situata in un palazzo degli anni ’20, in un quartiere che, nel 1944, ebbe anche una parte nella Resistenza romana. Quella scelta, è doveroso ricordarlo, allora venne pagata a caro prezzo: anche se nel quartiere, oggi multietnico, i passanti ne ignorano il significato, una lapide spoglia ricorda 13 “fucilati”, vittime della ferocia nazifascista.

Il Circolo Culturale nacque, nei primi anni ’60, per iniziativa delle locali sezioni del P.C.I. (Partito Comunista Italiano) e P.S.I. (Partito Socialista Italiano). Il loro intento, nel fondarlo, era stato quello di coinvolgere il quartiere sui problemi del momento, conseguenti ai primi passi compiuti dal nostro paese fuori dalle angustie del dopoguerra e dagli interrogativi posti dall’incombente boom economico.

E di temi scottanti,  nei primi anni ’60, c’era solo l’imbarazzo della scelta: dai rapporti col mondo cattolico dopo il Concilio Vaticano II, alla ricostruzione del sindacato nei luoghi di lavoro dopo la sconfitta degli anni ’50; dalla riforma della scuola, ancora prigioniera dell’ordinamento “gentiliano”, al dualismo economico e sociale che affliggeva l’Italia, aggravato dall’inarrestabile abbandono delle campagne.

Il nascente centrosinistra inoltre stava ponendo al paese (e allo stesso Movimento Operaio italiano) sfide nuove a cui, veicolate dalla televisione, presto si sarebbero sommate le suggestioni dovute agli eventi internazionali, sempre meno lontani dalle famiglie italiane.

Per dare una idea sommaria del contesto sociale e culturale  dell’epoca, è importante ricordare che la nostra società era attraversata anche da esigenze più profonde come il rinnovamento del diritto di famiglia e, soprattutto, da una idea nuova della famiglia e del rapporto uomo-donna.

Tale fermento non poteva non sollecitare una modificazione progressiva della cultura e del senso comune, tale da coinvolgere la società civile nelle sue articolazioni.

Serve ricordare che nel nostro paese, in quegli anni, si poteva finire in galera (chi si ricorda del caso Braibanti?) con la medievale accusa di plagio; così come era “obbligatorio” ghettizzare gli omosessuali secondo i modelli del maschilismo trasversale, distillato quotidianamente nella famiglia italiana. Tra i nostri membri più anziani c’è ancora chi può raccontare di una storica assemblea con Pierpaolo Pasolini, organizzata al Circolo dalla vicina sezione del PCI; quell’incontro che doveva essere l’occasione per conoscere una personalità come quella dell’autore, diventò invece il pretesto per una contestazione “di costume”, avanzata da non pochi militanti comunisti, affatto esenti dai pregiudizi dominanti nell’Italia conservatrice e perbenista del tempo.

Fu proprio tra la fine dei ’60 e gli inizi degli anni ’70 che si determinò nel paese la prima seria rottura -e ne seguiranno altre- dei rassicuranti rapporti sociali e culturali dominanti che si erano riprodotti, apparentemente immutabili, fino ad allora.

La crisi sociale lievitata in un decennio di crescenti lotte dei lavoratori (ricordiamo, ad esempio, le lotte contro le gabbie salariali, contro le discriminazioni e i licenziamenti nelle grandi fabbriche o quelle dei braccianti meridionali, con le loro vittime provocate dalla brutalità poliziesca), il venir meno degli equilibri conseguenti al secondo conflitto mondiale, gli effetti di una nuova crisi economica internazionale che portò nel 1972 all’abbandono della convertibilità oro-dollaro, infine l’emergere di un diverso sistema di relazioni e di costumi più confacenti con quei rapporti tra le classi, stavano reclamando un rivoluzionamento, una discontinuità nelle categorie culturali sopravvissute fino a quel momento.

Il Circolo divenne, così, testimone della ricerca di nuovi equilibri, nuove sensibilità, nuovi rapporti di potere nella società e tra le persone che non potevano non riflettere la grande partita giocata a livello della produzione, il “luogo” di ogni potere e di tutte le relazioni, istituzionali ed umane.

Gli attori, i debuttanti, di quella inedita stagione politica, di quel rivoluzionamento che parlava di eguaglianza, giustizia, pari opportunità, furono i giovani, colti e facinorosi, che avevano invaso ogni piega della società. E si sentirono più protagonisti dei loro padri, testimoni del vecchio, compagni di strada di quegli operai che stavano difendendo diritti, identità e autonomia, in una lotta estrema col capitale proprio sul tema cruciale del potere nel processo produttivo e, di conseguenza, nella società.

Nel Circolo entrarono, così, donne e uomini protagonisti  di un processo di emancipazione forse per troppo tempo rinviato e destinato, perciò, a modificare anche l’assetto dello Stato oltre che della Società.

E non fu un laboratorio di oreficeria quello perché, se il solo pensare di sostituire un ordine sociale ad un altro in una Italia fondamentalmente conservatrice era di per sé temerario, perseguirlo in quel quadro internazionale bloccato, sarebbe stata pura follia.

Ma nel nostro paese i nodi politici erano ben più complessi: dobbiamo tenere conto dell’irrisolto rapporto col mondo cattolico, eterna e retriva anomalia italiana; dell’ irresponsabile ricorso al fattore “k”, cioè alla pervicace esclusione del PCI  dal Governo (nonostante rappresentasse un terzo dell’elettorato); infine, dell’incapacità della sinistra italiana di rompere con il  cosiddetto “socialismo realizzato”, per iniziare quel rilancio morale che i tempi sollecitavano. Quando il successivo ripiegamento culturale del paese e l’involuzione delle istanze “progressive”  precipitarono verso la sconfitta, nessuno seppe opporre una valida resistenza: gli anni ’80, con il loro oblio etico, cinico affarismo e irriverente mondanità ormai incombevano minacciosamente.

Ci rendemmo conto rapidamente dei pericoli che gravavano sulla esistenza nostra e della sinistra italiana, tanto da orientarci verso scelte responsabili e una dialettica politica diversa.

Durante gli anni ’70 e ’80, proprio grazie a questa dialettica interna, il Circolo fu il punto di incontro di realtà sociali diverse: lavoratrici tessili, lavoratori edili e metalmeccanici, proletari in lotta per la casa, rappresentanti istituzionali, comitati di solidarietà. Mentre il Movimento degli studenti era diventato, per larga parte, un “vivaio” di militanti per gruppi extraparlamentari, nel circolo si cercò di costruire un coordinamento cittadino di studenti delle diverse scuole, impegnati contro la selezione, la cogestione senza principi, il decadimento formativo, la chiusura verso i problemi posti dalla società. Per molti anni crebbe insieme a quei giovani un approfondimento dei nuovi problemi posti dalla scuola, la gestione comune e dal basso degli obiettivi e delle lotte e una soggettività che portò, infine, alla costruzione di manifestazioni di massa e assolutamente autonome.

Insieme a questi protagonisti si sviluppò una azione di sensibilizzazione e di testimonianza che avvicinò, negli anni, tante persone diverse: non sono pochi coloro che, incontrati ancora oggi nei posti più diversi, rivendicano di esserci passati al Circolo Monte Sacro, almeno una volta.

Purtroppo la controffensiva moderata ed il terrorismo contribuirono attivamente al ridimensionamento di quello straordinario fermento, di quella spinta al cambiamento che sembravano in grado di portare il paese al di là delle ferite della guerra, delle ataviche arretratezze e, per certi versi, degli angusti limiti della logica dei blocchi.

Come si vide subito  i tempi non erano maturi: sia per il perverso avvitarsi della spirale terrorismo-repressione, o forse a causa dell’imbarbarimento della lotta politica segnata dall’assassinio di Aldo Moro, evento che cambiò anche antropologicamente il nostro paese (e che non è stato ancora metabolizzato dall’ethos nazionale), fatto sta che da un certo momento in poi, anche come soggettiva maturazione, sentimmo il bisogno di lavorare ad una nuova legalità, ad un diverso rapporto tra i cittadini e lo Stato.

Gli anni dell’urgenza di obiettivi “mobilitanti”, o della fascinazione di slogan come: lo Stato borghese si abbatte e non si cambia, ormai si allontanavano e ci sembrò una scelta obbligata dedicarci alla valorizzazione della legalità e al rilancio dei contenuti “progressivi” della nostra cultura costituzionale.

Dopo la mobilitazione per i referendum in difesa del divorzio e per la maternità responsabile, iniziammo il nostro percorso “costituzionale” nel febbraio del 1980 quando organizzammo una assemblea dibattito sulla Costituzione con Umberto Terracini, uno degli uomini che nell’immediato dopoguerra lavorarono a quella complessa architettura istituzionale che si materializzò nella nostra Costituzione.

Da quel momento in poi ci siamo trovati sempre più spesso a mettere l’accento sul valore dei “princìpi” su  cui si reggeva la nostra democrazia, ora contro le farneticazioni di reintroduzione della pena di morte, ora contro gli inviti a condizionare l’ordine pubblico in senso autoritario come risposta al terrorismo.

Inevitabilmente, a quella scelta “democratica” seguì un atteggiamento assolutamente intransigente verso il terrorismo fin dalla sua genesi: forse, ad incoraggiarci furono i nostri, seppur relativi, rapporti con i lavoratori, i quali furono sempre durissimi verso quella tragica deriva.

Non fu un caso, così, se l’impegno del Circolo si è rivolto verso la salvaguardia del nostro edificio istituzionale, minacciato prima dalle tentazioni reazionarie, poi dall’intreccio tra affari e politica e, infine, dalla progressiva caduta della sensibilità civica.

Già negli anni che precedettero “Mani Pulite” guardavamo con grande interesse a quei settori istituzionali che esprimevano autentico spirito di servizio in difesa della legalità e del diritto.

Per questo – insieme a quello di tanti rappresentanti della cultura e della politica nel nostro paese – ci preme ricordare il contributo che ci è venuto dalla collaborazione con i settori più avanzati della Magistratura italiana che ci ha permesso di costruire stimolanti iniziative: da quelle in difesa del diritto del lavoro o della tutela dei lavoratori italiani all’estero, a quelle in difesa dei diritti delle “comunità migranti”, da quelle sul diritto internazionale, fino al sostegno alla lotta contro la criminalità mafiosa.

Tra le prime iniziative sul tema dei diritti ricordiamo quella a sostegno della sentenza di reintegro degli operai licenziati dall’Alfa Romeo, sentenza resa possibile  da quella “avanzata” cultura giuslavorista che tanto fece storcere la bocca a chi considerava ogni conquista sul terreno del cosiddetto “diritto borghese”, cioè  delle leggi vigenti, come una vittoria a metà, non autentica perché maturata al di fuori del tradizionale conflitto di classe e con un diverso coinvolgimento operaio.

Altra grande occasione fu il seminario tenuto in un grande albergo romano e organizzato con Magistratura Democratica sul tema cruciale della difesa del “Diritto di Sciopero”, minacciato dalla politica “di scambio” introdotta dal craxismo.

Per quello che riguarda le vicende internazionali il Circolo ha sempre dato prova di sensibilità pacifista e di cultura della solidarietà: valga per tutto l’impegno contro l’apartheid in Sud Africa, quello contro il golpe del 1973 in Cile o quello a fianco delle madri degli “scomparsi” argentini.

Durante i primi anni ‘90 sentimmo di essere giunti ad un crinale storico segnato, non soltanto dalla rapida dissoluzione del blocco sovietico e dalle sue certezze ma, soprattutto, dal rimescolamento “normativo” imposto dalla incipiente mondializzazione dell’economica, dal “postmoderno” nella cultura e, infine, dal venir meno del modello scientifico newtoniano dominante nell’Occidente industrializzato. Con l’impegno di ripensare e approfondire la strada per costruire una nuova società e nuovi rapporti tra gli uomini, decidemmo di dare vita ad una rivista di dibattito politico culturale dal titolo emblematico: “Il Passaggio”.

Negli anni di vita di questa, il Circolo ha promosso, così, una ricca attività culturale che  ha portato ad iniziative stimolanti: presentazione di libri, dibattiti sulla scienza, seminari di storia, spettacoli teatrali e musicali, mostre di pittura.

E come rivista organizzammo, quando ancora gli accordi di Oslo dovevano essere pensati, il primo incontro tra intellettuali israeliani e palestinesi, per l’apertura di un dialogo che sentivamo, forse ingenuamente, tanto ricco di promesse e opportunità.

Ci sembra particolarmente degna di nota una iniziativa sulle “Leggi Razziali del 1938”, organizzata dal Circolo ma tenuta nella facoltà di Sociologia e durante la quale venne fatta la proposta di istituire una giornata nazionale della “Memoria”, in ricordo delle responsabilità avute dal fascismo italiano nella “Shoah”.

Naturalmente il Circolo come tale continuò ad organizzare iniziative politico culturali e ci piace ricordare di aver intessuto rapporti con tante personalità diverse, alcune delle quali si sono imposte in ambito pubblico o internazionale: tra queste ricordiamo la guatemalteca Rigoberta Menchù, premio Nobel per la pace, Kalida Messaudi deputata al Parlamento algerino, impegnata nella lotta per un nuovo diritto di famiglia, o Luiz Ignacio Lula Da Silva che venne da noi come sindacalista ed è poi diventato Presidente del Brasile.

Negli anni più recenti, almeno dagli anni ’80, nell’incipiente degrado politico culturale  e del senso civico nazionale, al Circolo non sono certo mancati gli argomenti su cui costruire le sue iniziative.

La crisi dei valori e le spinte regressive sono cresciute nel tempo e hanno conquistato larghi settori giovanili e di lavoratori; questi, che avrebbero tutto da perdere dal degrado favorito dai governi di centrodestra sono, al contrario, gli inconsapevoli sostenitori di una società che si fonda sulla sconfessione dei “diritti” e sull’ allargamento delle “disuguaglianze”.

Così succede che in Italia la situazione stia degenerando rapidamente a causa di un partito azienda favorito dal controllo completo dei grandi organi di informazione, pericolosissimo perché complice dell’egoismo individuale e dei rigurgiti secessionisti delle vandee.

Mentre scolora la memoria collettiva e una visione condivisa della storia nazionale, mentre si sollecita la caccia al diverso, si cerca il compromesso con settori della criminalità e il sostegno della violenza urbana, più o meno mascherata da sigle calcistiche, c’è bisogno d’altro per chiamare le persone oneste ad un impegno civile?????

Nella grave assenza della sinistra tutta, sempre più spesso sorge la domanda su quanto si potrà rinviare la ricostruzione di una prospettiva comune contro un degrado morale, destinato a diventare irrecuperabile se verrà superato il livello di guardia.

Per quanto tempo dovremo assistere alle lotte  di fazione condotte in nome di minuscole diversità, incomprensibili per la gente comune, che ci regala la nostra sinistra “radicale”?

Dovremo ripercorrere una storia tristemente nota per approdare ad un nuovo Fronte Unito?

Purtroppo, l’assenza di un progetto comune capace di modernizzare questo paese e farlo uscire da storiche arretratezze, italici e solidissimi parassitismi legittimati dall’assistenzialismo, insieme alla prefigurazione di una Società tesa al superamento di grandi disuguaglianze, ataviche ingiustizie e rapporti nuovi tra gli uomini, rende il nostro futuro drammaticamente incerto.

Quando nel mondo si susseguono contraddizioni destabilizzanti, persino quando siamo nella condizione di giudicare l’elezione di un Barack Obama alla Presidenza USA come un evento epocale, quando, infine, si sgonfia la “panzana” di essere dinanzi ad un secolo caratterizzato dall’incontrastato impero americano, la rinuncia ad esercitare una “vera” egemonia nella società, a far sì che le nuove generazioni diventino protagoniste di una società della cittadinanza, dei diritti e dell’uguaglianza invece che dell’individualismo e dell’antagonismo fine a se stesso, è uno stupido regalo che la nostra sinistra, rivolta al passato invece che al futuro, ha fatto ai reazionari i quali, non hanno certo perso tempo nell’imporre la “propria filosofia”.

Nell’attuale crisi dell’intelligenza e del senso critico, quando i partiti sono sempre più autoreferenziali e lontani dalla gente, il Circolo intende continuare a svolgere una azione propositiva, favorendo il confronto tra ciò che resta delle diverse anime della sinistra, altrimenti legittimate solo dalla lotta fratricida.

Noi che abbiamo vissuto questi anni straordinari, non potendo nasconderci gli errori commessi ma fidando, a nostra scusante, sulle poche cose buone realizzate, ci sentiamo ancora in dovere di contribuire ad una diversa prospettiva civile per questo sfortunato paese.

A chi ha avuto la curiosità e la pazienza di leggere queste righe consigliamo, se vuole conoscerci meglio, di consultare le molte iniziative susseguitesi per decenni e sommariamente elencate nell’archivio del sito. Esse sono state possibili solo grazie alla passione e all’impegno di tantissimi.

Dobbiamo spendere un’ultima parola per quel che riguarda l’aspetto economico alla base della nostra “esistenza”: il Circolo Culturale Monte Sacro di cui, lo sottolineiamo, si possono frequentare da sempre tutte le iniziative senza dover pagare un biglietto di ingresso e senza mai giustificare un abbandono, non ha e non ha mai avuto sponsor politici, né filantropici finanziatori. Esso è stato sempre sostenuto “in solido” dai suoi aderenti che se ne sono assunti, generosamente, i ricorrenti deficit.

Concludendo ci teniamo particolarmente a ricordare, perché pensiamo sia stata una nostra “anomalia”, ancorché rara, che chi non ha potuto sostenerci con una quota, non per questo ha avuto meno diritto di parola o di decisione.

Certamente gli aderenti al Circolo, soprattutto quando  si è posto il problema della proprietà delle mura, dei lavori di ammodernamento, e ogni volta che se ne è presentata la necessità, si sono appoggiati sull’aiuto di tantissimi sottoscrittori: ad essi non può non andare il nostro ringraziamento.